top of page

CANTO VI - Inferno

Dante si trova nel terzo cerchio dell’inferno dove cade pioggia maleodorante, mista a pioggia e neve, che batte sui dannati.

Il guardiano è il demonio Cerbero, mostro in forma di cane con tre bocche, che squarta e spella gli spiriti e minaccia i due viaggiatori, Dante e Virgilio.

Le ombre dei dannati giacciono sdraiate, ma una, improvvisamente, si alza a sedere e rivolgendosi a Dante si presenta: è Ciacco, un fiorentino noto per la sua golosità. 

A questo punto Dante ribatte dicendosi pronto a piangere per l'angoscia provocata dalla pena di Ciacco e gli pone tre domande riguardanti la loro comune patria, Firenze:

​

         Dante vuol sapere quale sarà l'esito delle lotte politiche,            se vi sono cittadini giusti e quali sono le ragioni delle                 discordie intestine.

​

 

Ciacco risponde alla prima domanda con una oscura profezia, dicendo che dopo una lunga contesa i due partiti (Guelfi Bianchi e Neri) verranno allo scontro fisico (la cosiddetta zuffa di Calendimaggio del 1300) e i Bianchi cacceranno i Neri con grave danno.

Prima che passino tre anni, però, i Neri avranno il sopravvento grazie all'aiuto di un personaggio che si tiene in bilico tra i due partiti, Bonifacio VIII. I Neri conserveranno il potere per lungo tempo, infliggendo gravi pene alla parte avversa (condanne ed esili). 

​

La risposta alla seconda domanda è che i giusti a Firenze sono solo in due, ma nessuno li ascolta.

​

Alla terza domanda Ciacco risponde che superbia, invidia ed avarizia sono le tre scintille che hanno acceso le lotte politiche, quindi le tre disposizioni peccaminose che sono all'origine del disordine morale dell'Italia del tempo.

​

L'avarizia era già simboleggiata dalla lupa, la superbia dal leone; l'invidia è il peccato che spinse Lucifero a ribellarsi a Dio e che aveva fatto uscire la lupa dall'Inferno.

IMG_9555.JPG

TESTO

«O tu che se’ per questo ’nferno tratto», 

mi disse, «riconoscimi, se sai: 

tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto».                   42

 

E io a lui: «L’angoscia che tu hai 

forse ti tira fuor de la mia mente, 

sì che non par ch’i’ ti vedessi mai.                       45

 

Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente 

loco se’ messo e hai sì fatta pena, 

che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente».       48

 

Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena 

d’invidia sì che già trabocca il sacco, 

seco mi tenne in la vita serena.                           51

 

Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: 

per la dannosa colpa de la gola, 

come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.                   54

​

E io anima trista non son sola, 

ché tutte queste a simil pena stanno 

per simil colpa». E più non fé parola.                  57

​

Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno 

mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita; 

ma dimmi, se tu sai, a che verranno                    60

​

li cittadin de la città partita; 

s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione 

per che l’ha tanta discordia assalita».                  63

 

E quelli a me: «Dopo lunga tencione 

verranno al sangue, e la parte selvaggia 

caccerà l’altra con molta offensione.                     66

 

Poi appresso convien che questa caggia 

infra tre soli, e che l’altra sormonti 

con la forza di tal che testé piaggia.                      69

 

​

Alte terrà lungo tempo le fronti, 

tenendo l’altra sotto gravi pesi, 

come che di ciò pianga o che n’aonti.                    72

 

Giusti son due, e non vi sono intesi; 

superbia, invidia e avarizia sono 

le tre faville c’hanno i cuori accesi».                       75

 

Qui puose fine al lagrimabil suono. 

E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni, 

e che di più parlar mi facci dono.                           78

 

Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, 

Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca 

e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,                    81

 

dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; 

ché gran disio mi stringe di savere 

se ’l ciel li addolcia, o lo ’nferno li attosca».            84

 

E quelli: «Ei son tra l’anime più nere: 

diverse colpe giù li grava al fondo: 

se tanto scendi, là i potrai vedere.                           87

​

Ma quando tu sarai nel dolce mondo, 

priegoti ch’a la mente altrui mi rechi: 

più non ti dico e più non ti rispondo».                     90 

 

Li diritti occhi torse allora in biechi; 

guardommi un poco, e poi chinò la testa: 

cadde con essa a par de li altri ciechi.                      93

PARAFRASI

 

​

 

 

 

 

 

Ma dimmi chi sei tu, che sei posto in un luogo così doloroso e subisci una pena tale che, forse, altre sono più gravi, ma nessuna è altrettanto spiacevole».

 

 

E lui rispose: «La tua città, che è tanto piena di invidia che ormai ha raggiunto il limite, mi ospitò nella vita terrena.

 

Voi fiorentini mi chiamaste Ciacco: a causa della colpa della gola, come vedi, sono fiaccato dalla pioggia.

 

 

E io non sono l'unico dannato qui, poiché queste altre anime sono soggette alla stessa pena per lo stesso peccato». Poi non disse più nulla.

 

 

Io risposi: «Ciacco, il tuo affanno mi angoscia al punto che mi viene da piangere; ma dimmi, se lo sai, quale sarà il destino degli abitanti della città divisa (Firenze); se qualcuno di loro è giusto; e dimmi la causa della discordia che l'ha assalita».

​

​

E quello a me: «Dopo una lunga contesa verranno allo scontro violento, e la parte del contado (i Bianchi) caccerà l'altra (i Neri) con gravi danni.

​

Poi è destino che i Bianchi cadano prima di tre anni, e che l'altra parte prenda il sopravvento con l'aiuto di un uomo (Bonifacio VIII) che, ora, si tiene in bilico fra le due fazioni.

 

I Neri resteranno a lungo al potere, opprimendo i Bianchi con pesanti condanne, nonostante le loro lamentele.

 

I fiorentini giusti sono solo due (sono pochissimi) e nessuno li ascolta; superbia, invidia e avarizia sono le tre scintille che hanno acceso i cuori».

 

Qui smise di parlare con tono lamentoso. E io gli dissi: «Voglio che tu mi spieghi altre cose e che parli ancora con me.

 

Dimmi dove sono Farinata Degli Uberti, e il Tegghiaio, che furono così degni cittadini, Iacopo Rusticucci, Arrigo, Mosca dei Lamberti e tutti gli altri che si adoperarono con l'ingegno per far bene: fa' che io conosca il loro destino, poiché ho gran desiderio di sapere se il Cielo li addolcisce o l'Inferno li avvelena».

 

​

E lui: «Essi sono tra le anime più malvagie: varie colpe li collocano nel fondo dell'Inferno e se scenderai fin laggiù, li potrai vedere.

 

Ma quando sarai tornato nel dolce mondo terreno, ti prego di ricordarmi ai vivi: non ti dico altro e non ti rispondo più».

​

Allora Ciacco strabuzzò gli occhi, mi guardò un poco e poi chinò la testa: ricadde insieme alle altre anime dannate.

bottom of page